Cosa sono le sabbie bituminose

Sabbie bituminose
Sabbie bituminose

Le sabbie bituminose sono depositi di sabbia e argilla satura di bitume ovvero petrolio allo stato solido o semi-solido. Il procedimento per convertire il bitume in greggio può  avvenire in due modi a seconda della profondità  in cui si trova il materiale. A meno di 75 metri sotto terra si usa il metodo a miniera che consiste nello sradicare gli alberi presenti sull'area interessata e drenare il suolo per recuperare le sabbie bituminose. Queste, a loro volta, vengono caricate su grandi camion e trasportate in un impianto di estrazione dove, col calore e l'acqua, il bitume viene separato dalla sabbia.

 

Per capire lo spreco di risorse naturali basti pensare che per produrre ogni barile di greggio sono necessari, in media, dai 2 ai 4-5 barili d'acqua. Gli scarti di questo processo vengono chiamati tailings e sono depositati in immense vasche di raccolta, che rilasciano nell'aria enormi quantità di vapori tossici. Oltre i 75 metri di profondità  si usa il metodo cosi detto in situ che consiste nel separare il bitume dal resto degli elementi direttamente sotto terra e portarlo in superficie mediante l'uso di forti getti di vapore. Seppur meno dannoso a livello di impiego d'acqua '' 0.8 barili per ogni barile di greggio prodotto '' anche questo metodo è considerato estremamente inquinante.

 

Mediamente il bitume contiere l'83,2% di carbonio, lo 10,4% d'idrogeno, lo 0,94% d'ossigeno, lo 0,36% d'azoto e il 4,8% di zolfo.

 

Le riserve sono fortemente concentrate in due provincie geologiche.

 

I principali giacimenti si trovano a nord dell’Alberta. A ovest nella regione di Rivière-la-Paix (Peace River), a sud, Cold Lake e a nord, vicino al fiume Athabasca, più precisamente presso Fort McMurray. Circa venti aziende estraggono le sabbie bituminose Alberta, le due più importanti sono: Syncrude e Suncor.

 

La seconda regione si trova in Venezuela, nella "cintura" dell'Orinoco ed è il più grande accumulo di idrocarburi al mondo, contenente più o meno la stessa quantità del giacimento canadese. Il bitume  venezuelano è altrettanto denso di quello canadese, più liquido, così che spesso non è classificato come sabbia bituminosa, ma come petrolio extra-pesante.

 

Le riserve esistenti in altri paesi del mondo sono molto più piccole. Ne esistono giacimenti in Siberia Orientale, nella regione dell'Olenek, ma non sono disponibili informazioni rilevanti. Sono situate in clima artico e in luoghi sperduti, cosa che ne rende al momento difficile lo sfruttamento. La Russia possiede altri depositi nella regione Volga-Urali ( Tatarstan e regioni vicine ), più piccole di quelle dell'Olenek.

 

Altri  giacimenti si trovano in una cinquantina di paesi tra i quali in Africa in Congo Brazaville.

 

Un rapporto redatto dalla  Fondazione Heinrich Boell -al quale ha dato il suo contributo la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale- svela i controversi interessi dell’Eni  nella Repubblica del Congo, soffermandosi in particolare sulla delicata questione dello sfruttamento delle sabbie bituminose.

 

Presente nel Paese dalla fine degli anni Sessanta, attualmente in Congo Brazaville l’Eni sta pianificando un investimento multimiliardario su diversi fronti. Nel maggio del 2008, la compagnia ha siglato un accordo “ombrello” – non reso pubblico per la clausola di confidenzialità – con l’esecutivo del Congo per un investimento di 3 miliardi di dollari nel periodo 2008-2012. L’ intesa, oltre a riguardare l’esplorazione delle sabbie bituminose, copre anche la produzione di olio di palma per alimentazione e biocombustibili e la costruzione di un impianto a gas da 350/400 megawatt.

 

Le sabbie bituminose e i biocombustibili sono due aree di investimento che suscitano molte perplessità. Numerose sono le organizzazioni della società civile internazionale e della comunità scientifica che mettono in dubbio l’efficacia delle due risorse, soprattutto a causa dei loro devastanti impatti sociali e ambientali e per le elevate emissioni di gas serra ad essi riconducibili. La produzione di un barile di sabbie bituminose rilascia nell’atmosfera dalle tre alle cinque volte più gas nocivi della quantità derivata dall’estrazione di petrolio convenzionale, oltre a causare livelli di inquinamento delle acque e della terra molto ingenti.

 

L’unico Paese al mondo dove è attualmente in atto lo sfruttamento del tar sands è il Canada, nella regione dell’Alberta, dove il deterioramento ambientale è ormai in una fase critica. L’area interessata dalla attività dell’Eni in Congo si estende per 1.790 chilometri quadrati e dovrebbe portare alla produzione di 2,5 miliardi di barili di greggio, con altri 500 milioni possibili.

 

La minaccia che lo sviluppo delle sabbie bituminose in Congo possa causare danni ambientali e sociali irrimediabili è seria e concreta: il rapporto pone l’accento sul fatto che la maggior parte del territorio incluso nella licenza è coperto da foresta tropicale primaria, mentre il rimanente è popolato da comunità locali di produttori agricoli su piccola scala. Inoltre, la seconda città del Paese, Pointe Noire, si trova a soli 70 chilometri dal luogo dove l’Eni sta attualmente effettuando le prime esplorazioni. Sebbene l’Eni abbia dichiarato che cercherà di “minimizzare gli impatti ambientali e di studiare le tecniche più appropriate di conservazione e recupero”, al momento sembra difficile pensare a una maniera sostenibile di sfruttamento delle sabbie bituminose.

 

Le stesse comunità locali congolesi sono preoccupate per la mancanza di consultazioni, non solo per in merito alle sabbie bituminose, ma anche per lo sfruttamento petrolifero. Nel giacimento di M’Boundi, gestito proprio dall’Eni, la compagnia continua la pratica  del gas flaring, che consiste nel bruciare a cielo aperto gas naturale collegato all’estrazione del greggio, fonte di piogge acide e considerato una delle cause principali dell’effetto serra.

 

I piani dell’Eni di trasformare questo gas in energia elettrica potrebbero essere i benvenuti, ma solo se i cittadini congolesi – per il 70% senza accesso all’energia – potranno beneficiarne, e se gli stessi saranno messi a conoscenza nel dettaglio delle politiche ambientali e sui diritti umani della multinazionale petrolifera.

 

Il Congo Brazaville, nonostante sia il quinto esportatore africano di petrolio,  è uno dei Paesi più poveri del pianeta. Lì come in molti altri Paesi del Sud l’oro nero non ha portato benessere, eppure incide per il 90 per cento sugli introiti derivanti dall’export, per un totale che nel 2008 si è attestato intorno ai 4,4 miliardi di dollari. Il 70 per cento dei tre milioni di abitanti della Repubblica del Congo vive sotto la soglia della povertà. Si stima che solo un quarto della popolazione abbia accesso all’energia elettrica. Come se non bastasse, il Paese non ha adeguate normative ambientali né la capacità di metterle in atto.

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